lunedì 1 novembre 2010

point of view

da http://www.tgcom.mediaset.it/spettacolo/articoli/articolo471144.shtml

"Mi ritiro dalla musica stupida"

Moltheni a Tgcom su "Ingrediente Novus"

"Ingrediente Novus" è il cd/dvd con i 16 brani più belli dei dieci anni di carriera di Moltheni. Nella tracklist due inediti: "Petalo" e "Per Carità di Stato" a sfondo socio-politico. "Ora mi ritiro - spiega il cantautore a Tgcom -. Il mondo della musica mi ha deluso, è stupido e io non lo sono. I giornalisti vanno a braccetto con gli artisti più famosi e non sono sinceri quando li recensiscono. Dente e la Antolini nuovi talenti? Per carità...".

Perché incidere "Ingrediente Novus"?
E' stata una scelta spontanea dopo dieci anni di carriera come musicista volevo racchiudere in questo lavoro i sentimenti genuini che hanno contrassegnato il mio percorso. E' un epilogo...

Allora si ritira?
Sì, mi ritiro da questo mondo musicale stupido e io non sono stupido. Non credo di aver rappresentanto in termini di valore nulla in questi anni.

Secondo lei, perché?
Non ho un buon carattere e dico le cose in faccia senza problemi. Questo atteggiamento mi ha creato dei problemi e quindi mi faccio da parte.

Da chi è rimasto deluso?
Anche da molti giornalisti. Ormai i critici musicali, veri, di un certo spessore si contano sulle dita di una mano. Oggi si leggono recensioni uguali e pari a zero dal punto di vista dei contenuti e stilistico. I giornalisti - molti dei quali tendono più ad apparire che a scrivere - vanno a braccetto con gli artisti/compagni di merende e ne parlano sempre bene a prescindere. E quindi tutti a parlare bene di Vasco Rossi, Ligabue, Subsonica, Afterhours. Mai uno che dà un bel 5 a uno dei dischi degli artisti che ho citato. Poi se prendi uno ad uno questi giornalisti ti dicono 'hai ragione sai?' e poi al momento pratico non hanno il coraggio. Insomma regna l'ipocrisia ed è pure scadente.

Insomma è difficile trovare buona musica in giro?
No anzi, in questo periodo ce n'è tanta. Vado sempre nel mio negozio di dischi a comprare album e scrutare progetti interessanti. Ma siamo sempre lì i media inculcano alla popolazione prodotti che non sono di qualità. Insomma mi sembra tutto alla luce del sole, è tutto estremamente prevedibile, piccolo. Ad esempio, quest'anno sembra che il disco di Dente sia il migliore album che sia stato fatto negli ultimi anni. Mi viene solo da ridere, e che dire di Beatrice Antolini? E' il solito esercizio di maniera con cui certi giornalisti amano sbizzarrirsi ogni anno. Ho già in mente due nomi della cosiddetta scena indie di cui si parlerà quest'anno. Ho già scomesso vediamo se indovino anche questa volta...

Insomma Moltheni scompare dalle scene, non ci sarà proprio occasione di ascoltare qualche sua nuova produzione?
Ho tante idee in testa e ci sto già lavorando. Ho in progetto delle collaborazioni con un gruppo folk americano e probabilmente a breve in studio inciderò qualcosa che però sarà a tiratura limitata da distribuire agli amici. Mi auguro che tutto quello che farò non sarà recensito...

Neanche una recensione?
A che serve? "Ingrediente Novus" è uiscito da un mese e mezzo. Una bella raccolta con un disco e un dvd. Insomma è stato recensito solo da due giornali e per giunta erano dei trafiletti. Insomma non c'è neanche più il concetto della recensione vera a propria. Sui vari magazine di musica vedi la Mannoia, J-Ax, i Subsonica in tutti i loro progetti collaterali. E alla base di tutto c'è sempre il denaro...

A cosa si riferisce?
Radio Popolare che ha sempre rappresentato una grande ricchezza per l'informazione musicale sta chiudendo i battenti. Io mi chiedo perché Vasco, i Subsonica o Ligabue che prendono tantissimi soldi non ne versano solo un po' (tanto a loro non cambia nulla) per far sì che questa radio non chiuda? Insomma non c'è più solidarietà e non ci sono più valori. Si pensa solo ad andare al Concertone del 1 Maggio per far bella figura e basta. Questo mondo è stupido e io non lo sono, ecco perché me ne vado.

"Ingrediente Novus" rappresenta in maniera completa la produzione di Moltheni con i brani completamente riarrangiati con la presenza anche degli archi: dall'ipnotica "E poi vienimi a dire che questo amore non è grande come tutto il cielo sopra di noi" a "Zona monumentale". Non mancano gli ospiti come Mauro Pagani, Vasco Brondi (Le Luci Della Centrale Elettrica), Enrico Gabrielli (Mariposa, Afterhours), Massimo Martellotta. Dispiace molto che un cantautore di questo calibro abbia deciso di ritirarsi dalla musica 'popolare' perché la sua scrittura è immediata, fresca non banale, tra le migliori in circolazione. Ma il tempo potrà anche fargli cambiare idea, c'è ancora bisogno del contributo in note di Moltheni (il cui vero nome è Umberto Giardini) e della sua schiettezza lucida



dal blog di andrea de carlo:

PERCHé NON PARTECIPO AI PREMI LETTERARI (e perché mi sono dimesso DALLO STREGA)

Da anni non partecipo con i miei romanzi ai premi letterari. Non è una scelta ideologica, nasce dall’esperienza diretta. Il fatto è che so come funzionano i premi, almeno quelli che incrementano le vendite di chi li vince.

Naturalmente ci sono premi - la maggior parte - che non hanno nessun effetto sulle vendite. Vengono assegnati da comuni, enti e associazioni per lo più a scopo di promozione locale; gli scrittori li ritirano per i soldi acclusi e per il piacere di essere celebrati, e per poter citare i nomi e gli anni dei premi nei risvolti dei propri libri, tra parentesi di fianco ai titoli della bibliografia. Ci sono anche alcuni premi - la minima parte - assegnati da gruppi di lettori che decidono davvero in base al piacere di leggere e all’autentica convinzione. Non è di questi che sto parlando: parlo dei premi che permettono di raddoppiare o anche decuplicare una tiratura iniziale, e che di conseguenza suscitano brame da parte degli editori, accattonaggio da parte degli autori, ricatti e baratti da parte dei giurati.

Nel 1982 il mio editore di allora (Einaudi) mi aveva fatto partecipare al premio Strega con il mio secondo romanzo, ‘Uccelli da gabbia e da voliera’. Subito qualcuno mi aveva chiarito che il vincitore di quell’anno era già stato deciso molto prima delle votazioni: Goffredo Parise, con il suo ‘Sillabario numero due’. Parise era molto malato (per davvero, non per finta come un altro scrittore che anni prima era riuscito a vincere lo Strega raccontando a tutti di essere moribondo) e il suo era un buon libro, così credo che in quel caso si fosse trovato un accordo tra le parti senza grandi conflitti. Sapere che non c’era una vera gara mi aveva tolto un peso di dosso, e mi aveva permesso di osservare con curiosità il mondo letterario in cui mi ero affacciato da poco e di cui non sapevo ancora quasi niente. Nel corso di alcune conversazioni, interviste, ritrovi pomeridiani in salotti avevo avuto conferma delle mie prime impressioni: si trattava di una grande famiglia un po’ incestuosa, i cui membri erano legati gli uni agli altri da un fitto intreccio di amicizie, rapporti professionali, scambi di favori, appartenenze politiche o aziendali, rivalità, invidie, rancori coltivati a lungo. Gli uffici stampa delle case editrici facevano il loro frenetico lavoro tra lusinghe e pressioni, gli scrittori firmavano copie e sorridevano e baciavano e ringraziavano, i giurati si negavano e si offrivano, i voti venivano raccolti e spostati come in una grande partita di dama. Poi mi ricordo la calda serata romana della votazione finale, nel Ninfeo di Villa Giulia allestito con tavoli e fiori e telecamere: le signore vestite come antiche matrone, gli uomini nelle loro migliori giacche estive, le facce note dei ‘personaggi della cultura e dello spettacolo’, gli abbracci e le risate, le coppe di champagne, gli sguardi di riconoscimento e di controllo, i nomi che ricorrevano, bisbigliati e ad alta voce.

Molti anni dopo, con mia sorpresa, sono stato inserito nella giuria dello Strega. E’ un premio che esiste dal 1947, i giurati originali muoiono poco alla volta e devono essere rimpiazzati periodicamente da nuovi scrittori, giornalisti e intellettuali vari: per questo il mio nome era entrato nella lista. Mi chiedevo cosa si aspettassero da me, mi imbarazzava e divertiva in modo alterno l’idea di essere stato arruolato d’autorità in un club a cui avevo deciso da tempo di non iscrivermi. Ma quando è arrivato giugno, il mese in cui viene votata la cinquina degli scrittori finalisti, ho capito rapidamente come andavano le cose.

Lo Strega è il premio letterario italiano che influisce di più sulle vendite del libro che lo vince. Secondo alcune stime gli effetti sono quantificabili dalle cinquantamila alle centocinquantamila copie, in certi casi di più. Non c’è quindi da stupirsi che sia molto appetito dagli editori e dagli autori in gara, i quali investono ogni anno una grande quantità di tempo ed energie per portarselo a casa. Si tratta di raccogliere pacchetti di voti, e la cosa naturalmente riesce meglio ai gruppi editoriali più grossi, che infatti si attribuiscono il premio secondo un principio di spartizione e alternanza. I giurati sono un po’ più di quattrocento, ognuno di loro riceve la sua dose di sollecitazioni, dirette o telefoniche. Alcune delle telefonate che ricevevo rivelavano autentico imbarazzo, altre erano allegramente disinvolte, altre incalzanti: in ogni caso sembrava sempre che chi le faceva si attenesse semplicemente alle regole (non scritte, né dichiarate) del gioco (truccato). Alcune telefonate erano surreali: me ne ricordo in particolare una, di uno scrittore che non avevo mai incontrato di persona. Aveva passato i primi dieci minuti a spiegarmi quanto ammirava i miei romanzi, sinceramente, profondamente, autenticamente. Poi mi aveva descritto in dettaglio una sua deliziosa casetta presso il mare, dove se lo avessi voluto avrei potuto passare qualche bel giorno di riposo o di lavoro, visto che era sua abitudine metterla a disposizione degli amici più cari. Infine, quando mi stavo ormai chiedendo quale fosse il suo problema, in un cambio abbastanza brusco di registro mi aveva detto “Ah, volevo ricordarti che sono in gara per lo Strega, e chiederti il tuo voto”. Quello che mi aveva colpito di più era l’idea che lui avesse fatto lo stesso tipo di telefonata a ognuno dei quattrocento e tanti membri della giuria, o almeno a quelli su cui pensava di poter far breccia.

Molto più spesso erano gli editori a telefonare, non per sollecitare semplicemente il mio voto, ma per chiedermi di consegnargli fisicamente la scheda firmata. E’ così che fanno, è la pratica corrente. Quanto ai giurati, credo che alcuni (pochissimi) diano il proprio voto per convinzione, altri per amicizia, altri perché cedono a lusinghe e insistenze. Altri il loro voto lo fanno pesare, e cercano di ottenere qualcosa in cambio: magari la pubblicazione di un testo rimasto in un cassetto, una collaborazione, un invito a cena, parole di stima e di considerazione. Altri ancora elaborano strategie, si consorziano, fanno intravedere disponibilità, tengono in sospeso, minacciano, promettono, pretendono. Ognuno di loro, nello stesso periodo di ogni anno, si sente molto importante per qualche giorno, e non può fare a meno di esserne compiaciuto. Per questo nessuno si dimette mai dalla giuria dello Strega, anche se alcuni ne parlano con ironia e distacco, addirittura con fastidio ostentato.

Per anni ho lasciato perdere, inventando scuse con chi mi chiamava, spesso votando il libro che aveva meno probabilità di vincere, anche se era brutto. Questo non mi impediva di sentirmi ipocrita e incoerente all’idea di essere nella giuria di uno dei premi letterari più condizionati d’Italia, quando da anni avevo deciso di non partecipare come concorrente neanche a quelli onesti. In un paio di occasioni ho scritto una lettera di dimissioni e poi non l’ho spedita, perché non volevo che il mio gesto potesse venire interpretato come un modo di attirare l’attenzione su di me, e perché pensavo che in fondo i traffici dello Strega sono poca cosa rispetto ai traffici che si svolgono ogni giorno dietro le quinte della politica e dell’economia. Ma sono anche convinto che ognuno debba fare quello che può per essere coerente con se stesso, nel proprio campo o nel proprio piccolo giardino. Così il 7 giugno di quest’anno ho scritto una lettera di dimissioni dalla giuria dello Strega, e il giorno dopo l’ho spedita per raccomandata al presidente. Subito dopo mi sono sentito più leggero.

Non ho rilasciato interviste su questa storia, però volevo raccontarla a voi.

Qui sotto c’è la lettera.





7 giugno 2009


Gentile Tullio De Mauro,


con questa lettera Le comunico la mia decisione irreversibile di dimettermi dalla giuria del Premio Strega.

Negli ultimi mesi ci sono state polemiche a proposito dei meccanismi in base a cui il premio viene assegnato. Dopo aver fatto parte della giuria dello Strega per alcuni anni, posso confermare che di solito la vittoria di un romanzo non dipende dai suoi meriti, ma da un patto di spartizione tra i principali gruppi editoriali. A volte questi raggiungono un tacito accordo, e il risultato viene di fatto deciso prima ancora della votazione. A volte il confronto dura più a lungo, finché non è chiaro il rapporto delle forze in campo. In ogni caso è pratica consolidata che i grossi editori raccolgano le schede di autori e collaboratori, i quali quasi sempre le cedono per amicizia, per quieto vivere, perché vengono allettati con lusinghe, promesse e scambi di favori, o per il gusto di esercitare per un breve momento un piccolo potere. Non credo affatto che gli editori siano i corruttori e i giurati le povere vittime: è l’intero sistema a essere guasto, e le colpe sono distribuite tra tutte le parti in causa.

So che Lei, in un lodevole tentativo di arginare queste pratiche, ha invitato i giurati a consegnare o spedire personalmente il proprio voto. Purtroppo temo che i vecchi metodi continueranno: le schede del resto sono numerate, ed è facile verificare chi ha votato quale libro.

Trovo triste che un bel romanzo non abbia alcuna possibilità di vincere il premio Strega solo perché è pubblicato da un piccolo editore, o magari da uno grande ma nell’anno sbagliato. Trovo ancora più triste che un lettore o una lettrice comprino un libro perché credono che la fascetta sulla copertina garantisca qualità riconosciute da una giuria di persone competenti e disinteressate, non sapendo che le ragioni dietro la vittoria del premio sono tutt’altre. E’ un inganno di cui non intendo più essere neanche marginalmente corresponsabile. Da anni ho scelto di non partecipare con i miei romanzi a premi letterari, per non avere a che fare con i traffici che troppo spesso li animano. Per la stessa ragione mi dimetto oggi dalla giuria dello Strega.

Un saluto cordiale


Andrea De Carlo

2 commenti:

.m. ha detto...

ha ragione moltheni, anche se non mi è mai piaciuto:
mi sono dovuta subire due suoi concerti ed è stata un'esperienza tragica, essia che non sono una che si ferma alla superficie.

andrea de carlo non lo leggo più da millenni, ma ha ragione anche lui.

non so se la vita sia uno schifo inutile.
di certo è uno schifo.

Vale ha detto...

sembra assurdo
ma anche i premi letterari più infimi e minuscoli sono truccati.
poi vogliono la qualità.
eh già.
perchè io scrivo merda.